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Su Josephine Baker - Parigi

il racconto fotografico in atlante infinito
flâneuse

“Ho due amori: il mio Paese e Parigi.”

Joséphine Baker ha segnato la storia della Francia: icona della liberazione femminile, simbolo della lotta contro il razzismo e membro della Resistenza sotto l'occupazione nazista, la Baker è la prima donna di colore ad accedere al Pantheon, la sesta donna della storia a entrare nel mausoleo che accoglie e celebra i morti onorati dalla patria. Freda Joséphine nasce a Saint Louis, in Missouri, il 6 Giugno 1906, è una bambina meticcia afroamericana e amerinda degli Appalachi; viene adottata dal nuovo compagno della madre, il quale l’amerà come una figlia. La famiglia del padre naturale, ispanica (buckra), non accetta la relazione del figlio con una donna i cui nonni erano stati schiavi. Sin da ragazzina subisce la segregazione razziale: data in sposa all'età di 13 anni, si ribellò tentando la fortuna a Broadway come ballerina sino all'approdo, (e relativa consacrazione), a Parigi. A soli tredici anni si sposa con Willie Wells Baker. Il matrimonio, di cui le rimane solo il cognome, è di brevissima durata, ma le permette di uscire di casa e tentare di seguire la sua vocazione. Si presenta al Booker Washington Theatre, pronta ad esibirsi ad ogni costo, trovandosi ad interpretare la parte di Cupido. Segue la troupe che lascia la città, e impara osservando le ballerine, una di loro ferendosi al ginocchio le darà la possibilità di esibirsi. Con le sue mosse sinuose, il movimento delle anche, i salti, le smorfie, diverte il pubblico. Quando sente parlare di Shuffle Along, una commedia musicale recitata da neri per un pubblico di bianchi, si presenta all’audizione, lo spettacolo va a Boston e poi a Saint Louis. Per sopravvivere guadagna solo trenta dollari al mese, nella sua città natale va a vederla anche la madre che, quando si accorge che la figlia recita insieme a donne nude, come elogio le dà due schiaffoni. Shuffle Along arriva a New York e apre a Tumpie le porte di Broadway. All’inizio del 1924 ottiene un contratto nel cabaret Plantation Club, dove recitano sia bianchi che neri. Allo spettacolo assiste Caroline Dudley, la ricca manager teatrale che cerca artisti di colore per organizzare a Parigi la Revue Nègre, la scrittura. Joséphine arriva così a Parigi. La rivista debutta al Théâtre des Champs Élysées. Tra il pubblico si notano Fernand Léger, Kees van Dongen, Robert Desnos, Blaise Cendras, Jean Cocteau. Quando la ballerina entra in scena, un mormorio percorre la sala, il suo modo di danzare, di muovere il lungo corpo d’ebano, coperta solo da un gonnellino di dodici banane, fa vibrare gli spettatori che si scatenano negli applausi. Il giorno dopo tutti i giornali parleranno di come una sorprendente scoperta, una venere nera che avrebbe potuto ossessionare Baudelaire.

Va ad abitare in un appartamento nel cuore di Montmartre convivendo con un ghepardo chiamato Zozo e un serpente che porta attorno al collo quando dopo lo spettacolo frequenta i cabaret. Non si cura del denaro, ma non dimentica la famiglia, che col suo aiuto riesce a trasferirsi in una vera casa. Conosce lo scrittore Georges Simenon, non ancora famoso, che diventa il suo segretario e il suo amante. Il 24 aprile 1926 debutta alle Folies-Bergère con la rivista che, secondo l’impresario Paul Derval, deve superare lo spettacolo del Moulin-Rouge dove Mistinguett canta Paris, c’est une blonde. Una sera dopo lo spettacolo accetta di ballare un tango con il sedicente conte di origini italiane Giuseppe Abatino, per gli amici Pepito, di cui si innamora. È poi la volta della rivista Un vent de folie, accanto al ballerino Jack Stanford, il re del charleston. Verrà condannata come il simbolo della lussuria a Vienna dalla Chiesa. Joséphine decide di sorprendere gli spettatori e si presenta con un lungo abito nero chiuso fino al collo e interpreta una serie di blues ottenendo l’ovazione di un pubblico stupefatto. Ritornata a Parigi, incontra l’impresario Henri Varna e, su consiglio di Pepito, accetta di interpretare la nuova rivista Paris qui remue. Le musiche sono composte da Vincent Scotto, mentre le parole sono di Géo Koger. Nasce così J’ai deux amours, la canzone che non l’abbandonerà mai per tutta la sua lunghissima carriera. Nella sala del Casinó de Paris, tra il pubblico si notano Francis Carco, Marcel Pagnol, Le Corbusier. Registrata su un 78 giri, ottiene il Grand Prix du Disque, sull’altro lato è incisa La Petite Tonkinoise, la prima canzone di Scotto. L’anno seguente è una Cenerentola moderna in La Princesse Tam-Tam accanto al principe interpretato da Albert Préjean. Appare nel film Sotto i tetti di Parigi di René Clair, che le fa scoprire un nuovo ballo, la conga. Albert Willemetz le propone il ruolo principale di La Créole, un’operetta di Jacques Offenbach, che va in scena al teatro Marigny sui Champs-Élysées. La sua relazione con Pepito è in crisi e si separano. La nuova rivista En Super-Folies rimane alle Folies-Bergère anche per tutto l’anno dopo quando si inaugura l’Esposizione Universale.
I mitici anni Venti e l’età del Jazz non sarebbero stati gli stessi se Josephine Baker non fosse stata a Parigi a scaldare le trasgressive notti francesi con la sua sensuale danse sauvage. Il suo successo è straordinario, balla davanti ai reali d’Europa, Le Corbusier crea un balletto per lei, Pirandello desidera dedicarle una commedia, riceve migliaia di proposte di matrimonio, ha contendenti quali Ernest Hemingway, George Simenon, Picasso e Jean Cocteau. Nel 1937 conoscerà un industriale francese, Jean Lion, grazie al quale prende la cittadinanza francese. L’ideale razzista riemerge con tutta la sua forza in Europa con lo scoppio della Seconda guerra mondiale e Josephine lo sperimenta sulla sua pelle a Vienna, già permeata negli anni precedenti dall’ideologia nazista. Josephine rappresenta alla perfezione tutto ciò che il nazismo condanna, ma lei, con la sua forza d’animo, riesce a mettersi al servizio della Resistenza del suo paese d’adozione che un tempo l’aveva accolta e che aveva fatto di lei quello che era. A partire dal 1939 infatti, Baker viene reclutata come spia al soldo della Francia. Le relazioni intrattenute grazie alla sua notorietà, l’avrebbero aiutata a carpire i movimenti dei nemici tedeschi.
Può raccogliere informazioni agli incontri mondani ai quali partecipa tra uno spettacolo e l’altro, fa una serie di trasmissioni radiofoniche, destinate a risollevare il morale dei soldati al fronte. Il 10 giugno 1940, la sconfitta dell’esercito francese, costringe a interrompere le rappresentazioni di Paris London. Il capitano Abtey le consiglia di fuggire prima dell’entrata dei tedeschi a Parigi, all’alba dell’11 giugno, lascia la capitale con migliaia di altri parigini che pensano sia l’unico modo di sopravvivere. D’accordo con il capitano Abtey, approfitta dei suoi contatti per raccogliere informazioni utili alla Resistenza. Alcune le spilla al reggiseno, sotto il suo ampio vestito. Altre le scrive in inchiostro simpatico sugli spartiti delle canzoni previste per il prossimo spettacolo. Il 15 gennaio 1941 arrivano da Londra notizie allarmanti. La zona libera della Francia sta per essere occupata e Joséphine riceve l’ordine di partire per l’Algeria. Continua a raccogliere informazioni nelle tournée del periodo. È a Marrakech quando si ammala con una febbre altissima, sarà il primo dei molti problemi di salute che la tormentano durante tutta la vita. Segue l’evoluzione dei combattimenti tra tedeschi e alleati, non nasconde la sua ammirazione per il generale De Gaulle, il solo che con il suo appello abbia ridato fiducia ai francesi. Il ritorno ufficiale di Joséphine in teatro avviene sulla scena del cinema Rialto, una delle più belle sale di Casablanca. Gli incassi saranno versati alla Croce Rossa francese, poco dopo è firmato l’armistizio, la guerra è finita. Il 26 agosto 1944 De Gaulle marcia dall’Arco di Trionfo a Notre-Dame, accanto a lui cammina Joséphine con la divisa di sottotenente d’aviazione e molte medaglie appuntate sul petto.
Conosce il direttore d’orchestra Jo Bouillon, di cui s’innamora. Si sposano al municipio di Castelmand-Fayrac, il villaggio vicino al castello di Milandes, dove vuole ospitare i bambini di tutte le razze che intende adottare. Quando è in tournée a New York si lascia prendere dall’emozione: «È il momento più importante della mia vita. È la prima volta che torno nel mio paese natale dopo ventisei anni, che vengo veramente. Perché le altre volte non contano. Posso darvi la mano, e questo ha una grande importanza per voi e per me, per noi, tutti membri della razza umana». L’impatto del recital è talmente forte che l’Associazione per la difesa della gente di colore organizza il «Baker Day» nel cuore di Harlem.

All’inizio del 1954 la invitano a Tokyo a un congresso contro il razzismo, tra gli orfani di guerra trova Akio di diciotto mesi, che era stato abbandonato su un marciapiede protetto da un ombrello. Mentre sta partendo, vede un altro bambino, Teruya, che la guarda in modo struggente, non se la sente di abbandonarlo e lo ribattezza Janot. Ogni volta che fa una tournée trova un piccolo orfano da adottare. A Helsinki il suo sguardo incrocia quello di un bambino biondo di due anni, Jari. A Bogota, una giovane madre, che ha già sette figli, le affida Luis, l’ultimo nato. Da una tournée in Canada torna con Jean-Claude di tre anni. A Gerusalemme, adotta Moïse, un bimbo di nove mesi. Ma c’è bisogno di denaro e Joséphine si impegna in una nuova tournée in Algeria, dove è ancora in atto la guerra civile. Lo spettacolo a Algeri, tra colpi di fucile, è un trionfo, l’artista trova due neonati Brahin e Marianne che si sono salvati perché protetti da un cactus. Dopo una serie di spettacoli in Costa d’Avorio, arriva alla stazione di Tolosa con i due piccoli e con Koffi, trovato in Africa. Da una serie di recital a Caracas, ritorna a casa con Mara, di origine indiana. I bambini sono adesso dieci. L’undicesimo è André e la dodicesima Stellina, per sostenere le spese della sua grande famiglia è sempre in tournée.
Ritorna a Parigi solo dopo la liberazione, indossando l’uniforme e accolta da migliaia di persone che lanciano fiori al suo passaggio. Per il suo impegno civile e militare le vengono conferiti la Croix de Guerre, la Rosette de la Resistance e il titolo di Cavaliere della Legione d’onore, ma la sua sete di giustizia è inarrestabile. Gli anni Cinquanta vedono Josephine profondamente impegnata nel movimento per i diritti civili degli afroamericani, la drôle de guerre, come verrà inizialmente chiamata, rifiuterà di danzare di fronte ad un pubblico di soli bianchi, boicottando teatri e diventando una delle prime artiste ad esibirsi per un pubblico misto e nel 1963 partecipa e arringa la folla durante la Marcia su Washington al fianco di Martin Luther King. Il 24 marzo 1975 iniziano le rappresentazioni al teatro Bobino davanti a una sala gremita, con la principessa Grace, Alain Delon, Sophia Loren, Jeanne Moreau. Lo spettacolo è un trionfo. Quattrocento privilegiati si ritrovano poi all’hotel Bristol per un pranzo di cui Josèphine è l’eroina. Sulla torta il pasticcere ha scritto con lo zucchero «1925-1975». Alle due del mattino raggiunge il suo appartamento in Avenue Paul Doumer, vicino al Trocadéro, si addormenta con il sorriso sulle labbra stroncata da una emorragia cerebrale, non si sveglierà più. Il 15 aprile centinaia di migliaia di parigini seguono il corteo funebre che raggiunge la Madeleine, dopo una svolta per via della Gaîté. Si ferma davanti alla facciata illuminata del Bobino, dove lampeggia per l’ultima volta la scritta Joséphine…
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