Frammenti di luce 06

A pochi passi da Lione,
mentre siamo dirette a Parigi, decidiamo di fare una sosta di un giorno per incontrare un grande maestro. Giunte a Chazay-d’Azergues, ad aspettarci c’è Michelangelo, nel suo piccolo museo del tempo che fu. Ci fa subito vedere la sua piccola minutera pronta per il collodio, e con essa il suo angolo di mondo. Scaffali e vetrine che contengono lenti ingiallite, antiche macchine fotografiche, strumenti di ottone lucidati fino a brillare e una miriade di bottiglie con etichette sbiadite, ciascuna custode di un segreto chimico. Si percepisce subito un ordine e una ricerca negli anni, ritratti posati alle pareti, album da aprire per scoprirne volti e storie, appunti, carte de visite, cataloghi e manifesti di incontri in giro per l’Europa. Rimango subito incantata da un collodio che ritrae un fiore delicato… sembra poter soffiare e far volare sali d’argento. Una porta di legno separa tutta la stanza, è quella che conduce in camera oscura, avvolta in un’atmosfera ovattata, che emana un fascino quasi mistico. Qui, in questo santuario della fotografia analogica, un maestro del collodio, tra i più bravi, con voce pacata e decisa, lo sguardo profondo, ci accoglie in questo giorno d’autunno per noi pieno di fascino. I nostri occhi brillano di curiosità dinanzi al maestro, con la calma e la pazienza di chi ha dedicato una vita alla sua arte, ci guida attraverso il complesso processo della fotografia al collodio umido. Ci spiega come ogni immagine è un momento catturato e congelato nel tempo, un’impronta indelebile della realtà. Ogni passaggio, dalla preparazione della lastra alla posa, richiede una precisione quasi maniacale e una profonda conoscenza dei materiali e delle reazioni chimiche. Come se si stesse compiendo un rito antico, tra le mani la lastra di vetro, lucida e fragile, sembra quasi viva. Quel che nel collodio si percepisce è di certo un ponte tra passato e presente, un mezzo per riconnettersi con le radici della fotografia. Ammiriamo la bellezza delle stampe, così nitide nonostante la tecnica sia antichissima, i toni caldi e ricchi e la loro patina del tempo. Il processo della fotografia al collodio è un rituale affascinante per la sua preparazione della lastra che richiede una precisione certosina: una soluzione di collodio viene versata sulla lastra di vetro, lasciando un velo sottile ed uniforme. Poi, la lastra viene sensibilizzata con una soluzione di nitrato d'argento, rendendola sensibile alla luce.
L'esposizione è un momento cruciale, la luce entra nell'obiettivo, disegnando l'immagine sulla lastra. Ogni secondo in più o in meno può compromettere il risultato finale. Lo sviluppo è un'operazione delicata. La lastra viene immersa in una serie di bagni chimici, che trasformano l'immagine latente in un'immagine visibile. Con ogni bagno, l'immagine si rivela, emergendo dalle profondità della lastra come un fantasma.
Se si pensa al digitale e la sua immediatezza, si comprende quanto queste antiche tecniche fotografiche siano un'arte del tempo, dell’istante che si distende, e di un mestiere d’artigianato prezioso da custodire. Richiede pazienza, conoscenza e una profonda connessione con il materiale. Il digitale è come un pennello che dipinge con milioni di colori, il collodio è più simile ad uno scalpello che lavora la pietra.
Alla fine della giornata, ci ritroviamo davanti allo specchio, pronte a guardarci, in riflessi di riflessi, capovolti e in bianco e nero. Ogni scatto un’esperienza unica, un’interazione tra l’artista e il mezzo. La luce, la posa, l’espressione, tutto contribuisce a creare un’immagine viva e pulsante. Mentre sviluppiamo le lastre, si scambiano riflessioni sulla fotografia, sull’arte e sul significato del tempo. Michelangelo parla della sua passione per un’arte che richiede pazienza e dedizione, con una generosità unica nel sentire il bisogno di tramandare quest’arte e la sua pratica, per poterla custodire e portare avanti. Noi ne siamo grate, da fotografa con vent’anni di esperienza mi metto in gioco e gioco ogni volta, ponendomi in ascolto per imparare ancora, con quella voglia di sperimentare e di trovare nuova voce. Felisia che cura ogni cosa, sottolinea l’importanza di preservare il patrimonio culturale e di far conoscere le antiche tecniche a chi verrà, senza nostalgia, ma con intensa passione e responsabilità. E così, trascorriamo un giorno intero, a giocare seriamente in questa bolla di bellezza, un giorno che non è bastato, ma servito per iniziare, per rivedersi ancora, quanto prima, facendo tesoro di un’esperienza indimenticabile.

racconto visivo

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